14 set 2011

Quattro stracci

E guardo fuori dalla finestra e vedo quel muro solito che tu sai.
Sigaretta o penna nella mia destra, simboli frivoli che non hai amato mai;
quello che ho addosso non ti è mai piaciuto, racconto e dico e ti sembro muto,
fumare e scrivere ti suona strano, meglio le mani di un artigiano
e cancellarmi è tutto quel che fai;
ma io sono fiero del mio sognare, di questo eterno mio incespicare
e rido in faccia a quello che cerchi e che mai avrai!

Non sai che ci vuole scienza, ci vuol costanza, ad invecchiare senza maturità,
ma maturo o meno io ne ho abbastanza della complessa tua semplicità.
Ma poi chi ha detto che tu abbia ragione, coi tuoi "also sprach" di maturazione
o è un' illusione pronta per l'uso da eterna vittima di un sopruso,
abuso d' un mondo chiuso e fatalità;
ognuno vada dove vuole andare, ognuno invecchi come gli pare,
ma non raccontare a me che cos'è la libertà!

La libertà delle tue pozioni, di yoga, di erbe, psiche e di omeopatia,
di manuali contro le frustrazioni, le inibizioni che provavi quì a casa mia,
la noia data da uno non pratico, che non ha il polso di un matematico,
che coi motori non ci sa fare e che non sa neanche guidare,
un tipo perso dietro le nuvole e la poesia,
ma ora scommetto che vorrai provare quel che con me non volevi fare:
fare l' amore, tirare tardi o la fantasia!

La fantasia può portare male se non si conosce bene come domarla,
ma costa poco, val quel che vale, e nessuno ti può più impedire di adoperarla;
io, se Dio vuole, non son tuo padre, non ho nemmeno le palle quadre,
tu hai la fantasia delle idee contorte, vai con la mente e le gambe corte,
poi avrai sempre il momento giusto per sistemarla:
le vie del mondo ti sono aperte, tanto hai le spalle sempre coperte
ed avrai sempre le scuse buone per rifiutarla!

Per rifiutare sei stata un genio, sprecando il tempo a rifiutare me,
ma non c'è un alibi, non c'è un rimedio, se guardo bene no, non c'è un perchè;
nata di marzo, nata balzana, casta che sogna d' esser puttana,
quando sei dentro vuoi esser fuori cercando sempre i passati amori
ed hai annullato tutti fuori che te,
ma io qui ti inchiodo a quei tuoi pensieri, quei quattro stracci in cui hai buttato l' ieri,
persa a cercar per sempre quello che non c'è.

Francesco Guccini

11 giu 2011

Come allenarsi a respingere l'ipergenitorialità congenita

E una donna che reggeva un bimbo al seno disse: "Parlaci dei Figli"
E il Profeta rispose:
I vostri figli non sono figli vostri.
Sono i figli e le figlie della brama che la Vita ha di sè.
Essi vengono attraverso voi ma non da voi,
e, sebbene siano con voi, non vi appartengono.
Potete donare loro il vostro Amore ma non i vostri Pensieri
poiché loro hanno i propri pensieri.
Potete dare rifugio ai loro corpi ma non alle loro Anime,
giacchè le loro anime albergano nella casa di domani,
che voi non potete visitare neppure in sogno.

Potete tentare d’esser come loro, ma non renderli come voi siete
giacchè la vita non indietreggia nè s’attarda sul passato.
Voi siete gli archi dai quali i vostri figli, viventi frecce, sono scoccati innanzi.
L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito,
e vi tende con la sua potenza affinchè le sue frecce possano andare veloci e lontano.
Sia gioioso il vostro tendervi nella mano dell’Arciere;
poiché se ama il dardo sfrecciante,
così ama l’arco che saldo rimane.

Kahil Gigran

26 apr 2011

Diario di un Invisibile Aprile - Venerdì, 3 di Odisseas Elitis

Occhi ovali, allungati, labbra,
profumi come di cielo precoce
di grande femminile dolcezza e di bevanda letale.

Mi girai sul fianco - sprofondai quasi - nei Salmi delle Litanie
e nel fresco dei giardini aperti.
Pronto al peggio
Dopo un estenuante e feroce battaglia, all'alba di lunedì 4 aprile
ci scaraventiamo al nostro destino. Io e Sofia.

1 mar 2011

L'orologio segnava appena le 7...

...e il sole di agosto da un bel pezzo reclamava le sue vittime stordendole con il frinire dei grilli e l'odore di sale.
 Il giorno in cui ho saputo che saresti arrivata sono corsa in bagno a scartare, leggere, leggere e rileggere ancora  le istruzioni del kit acquistato la sera prima.
"Avrei bisogno di qualcosa di affidabile" chiesi al banco con l'aria di chi non sa più che pesci prendere.
"Non si preoccupi, ormai questi test garantiscono un'affidabilità del 99%".

Qualche sera prima ero seduta al tavolo di un piccolo ristorante proprio sul mare sulla costa che mi ha riempito il cuore e la vita fin da bambina a festeggiare il suo primo compleanno da sposati. Non gli avevo detto nulla, volevo che fosse una sorpresa. Una bella boccata d'aria. Doveva essere la caparra del regalo vero, quello in cui avremmo preso e ripreso le misure con i  nostri spazi e le nostre vite in un viaggio verso il Portogallo, che immaginavo avremmo perseguito con tenacia infinita costeggiando il nord o il sud della Spagna.
"Dai che ho appena preso la patente! Scegli tu l'itinerario e quando e partiamo!"
Combattevo con il caldo, la nausea, l'umore intossicato dal lavoro, il mal di stomaco che non mi lasciava riprendere fiato nemmeno durante la notte.

Quella mattina non ero l'unica ad essere sveglia. Anche tuo padre stava lì, a letto, ad aspettare quei minuti che inesorabili ci separavano dalla realtà. Quella notte, l'ultima notte, a fantasticare del Portogallo on the road, del nuovo lavoro che avrei trovato, di quello che avrebbe coinvolto sempre di più lui, di quelle garze e antibiotici ed eparina e fisioterapia e odore di ospedale che stavamo cercando di lasciarci alle spalle.

Ero lì, ero in quel limbo, e mi hai devastata.
"Allora?"
"Secondo il test, sono incinta".

Ed in un attimo sentii perchè hai deciso di arrivare.
Perchè il nostro cuore, nonostante un anno pieno di prove e di cambiamenti radicali è rimasto colmo, colmo di vita. Per lo stesso motivo per cui quando arriva il sole dopo l'inverno non riesci a stare in casa e vuoi andare al mare. O perchè davanti ad una certa ambiguità è sempre meglio un'amara verità. Perchè l'amore non ti può trattenere a guardare indeciso l'orizzonte. L'amore può solo farti volare.
Sentire l'emozione, prima di comprendere con la mente, mi ha permesso di lottare con la paura, la sfiducia e fantasmi del passato per farti lentamente, ogni giorno, sempre più spazio nel cuore prima che nella pancia.

Dicono che avere un blocco sia normale. E' normale anche voler riscrivere tutta la storia dall'inizio?

Manco in rete da circa 1 anno. Da questo blog addirittura da 2.
Rileggendo il profilo mi sono detta: 'Questa non sei tu. Non bluffare: chiudi questo blog e aprine un altro se vuoi, ma questa non sei tu' E non con l'intento di volermi fare un complimento o un biasimo...E' tutto cambiato, e tutto è rimasto uguale.
La vita è davvero un miracolo.

Cerco di coprire la nausea da integratori a base di ferro con litri di tè verde. Sono alla 35+2 settimana. Sofia arriverà con il sole di Aprile, il mese invisibile del diario di Odiesseas Elitis. Non oso rileggerlo.
Aspetto che arrivi quel giorno.
Non sono ancora pronta per una sintesi. Quest'assenza non me la sono ancora raccontata. Ma la mia voce la sento comunque, e non posso ignorarla.  E sento mille voci di ieri e di oggi e vedo mille luci di giorni e di notti, di cieli e di mari. Sì,  se potessi riscrivere tutta la storia dall'inizio suonerebbero come le onde. E non avrei niente da temere.

20 gen 2009

If I Were A Boy

If I were a boy, even just for a day
I'd roll out of bed in the morning
And throw on what I wanted
And go drink beer with the guys
And chase after girls
I'd kick it with who I wanted
And I'd never get confronted for it
'Cause they stick up for me

If I were a boy
I think I could understand
How it feels to love a girl
I swear I'd be a better man

I'd listen to her
'Cause I know how it hurts
When you lose the one you wanted
'Cause he's taking you for granted
And everything you had got destroyed

If I were a boy
I would turn off my phone
Tell everyone it's broken
So they'd think that I was sleeping alone

I'd put myself first
And make the rules as I go
'Cause I know that she'd be faithful
Waiting for me to come home, to come home

It's a little too late for you to come back
Say it's just a mistake
Think I'd forgive you like that
If you thought I would wait for you
You thought wrong

But you're just a boy
You don't understand
And you don't understand, oh
How it feels to love a girl
Someday you wish you were a better man

You don't listen to her
You don't care how it hurts
Until you lose the one you wanted
'Cause you're taking her for granted
And everything you had got destroyed
But you're just a boy

Toby Gad and BC Jean for Beyonce Knowles

15 set 2008

Il Silenzio del Sud e... mormorii vari

Buona domenica a tutti.
Di seguito l'editoriale uscito oggi sul Corriere che l'amico Duccio mi ha invitato a leggere e commentare. Lo riporto per sottoporlo all'attenzione ed alla lettura di tutti. Di seguito, alcuni commenti caro Duccio, al quale spero vorrai contribuire come tutti gli amici di questa newsletter. Emilia

Il silenzio del sud, di Ernesto Galli Della Loggia


«Esiste una questione meridionale e nella scuola italiana? Temo proprio di sì (…). L'Europa non boccia l'Italia e i suoi quindicenni (…) ma boccia il Sud e le Isole, assai indietro rispetto alla media europea mente il Centronord la supera nettamente. (…) Le fredde statistiche rivelano un fenomeno inedito: un abbassamento della complessiva qualità scolastica nel Sud. Nel passato, in piena "questione meridionale" generale, un liceo o una scuola elementare di Napoli aveva in genere un livello analogo alle consorelle milanesi. Oggi non è più così». A parlare in questo modo non è il ministro Gelmini, il ministro della «solita destra italiana». No. E' un esponente di antica data della sinistra come Luigi Berlinguer, tra l'altro un ex ministro dell'Istruzione, in un articolo di rara onestà intellettuale pubblicato sull'Unità del 29 agosto scorso. Articolo che però, abbastanza sorprendentemente, non ha provocato neppure la più blanda protesta da parte di quella legione di politici, professori e intellettuali che invece solo pochi giorni prima si erano stracciati le vesti per le cose più o meno analoghe dette dal responsabile attuale dell'Istruzione, il ministro Gelmini di cui sopra, seppellita sotto una valanga di vituperi per il suo supposto razzismo antimeridionale. Il fatto è che dovremmo prendere atto tutti, una buona volta, di alcuni dati di fatto. Non solo di quelli ormai notissimi delle rilevazioni Ocse-Pisa, ma anche, per esempio, della circostanza, che negli ultimi 7-8 anni i migliori piazzamenti nelle varie olimpiadi di matematica, informatica, fisica o nei certami di latino, ecc. organizzati internazionalmente, li hanno ottenuti quasi sempre studenti dell'Italia settentrionale. Così come dovremmo chiederci perché mai, di fronte a questi risultati, accade però che la maggiore concentrazione dei 100 e lode all'esame di maturità delle scuole italiane si abbia proprio in Calabria e in Puglia, o che le più alte percentuali di punteggi massimi si registrino in una scuola di Crotone (ben 34 «100 e lode »!) di Reggio Calabria (28) e di Cosenza (21), mentre i Licei Mamiani e Tasso di Roma si devono accontentare di appena due, e rispettivamente un solo, 100 e lode. Geni in erba a Crotone e geni incompresi a Friburgo o ad Amsterdam? Andiamo! E forse dovremmo pure chiederci come mai il Friuli, regione che pure fa segnare la percentuale di 100 e lode più bassa fra tutte le regioni d'Italia, veda invece poi i suoi studenti, nell'ultimo quinquennio, fare incetta di premi nelle più varie competizioni.
E' fin troppo evidente che questo insieme di dati tira pesantemente in ballo non solo la realtà scolastica ma l'intera realtà sociale del Mezzogiorno. Ne parla del resto, senza peli sulla lingua, lo stesso Berlinguer nell'articolo citato: «Gli enti locali nel Centro- nord hanno fatto in questi decenni cose straordinarie per la scuola, egli scrive (…), nel Sud tutto questo o è episodico o non c'è. Nel Centro-nord la scuola è tema che influenza le scelte dell'elettorato locale, che stimola così gli amministratori. Al Sud o è episodico o non c'è». Insomma la società meridionale presta scarsa o nulla attenzione alla sua scuola, alla qualità dell'insegnamento, perché evidentemente non le considera cose molto importanti.
Le famiglie, più che alla sostanza sembrano guardare all'apparenza dei «bei voti» comunque ottenuti. E quando la verità comincia a venir fuori — com'è per l'appunto accaduto con la sacrosanta denuncia del ministro Gelmini — allora la reazione generalizzata è quella del perbenismo indignato, del ridicolissimo «ma come!? noi che abbiamo avuto Croce e Pirandello!»: nella sostanza, cioè, è il fingere di non vedere, di non capire. E' il silenzio.
Un sostanziale silenzio sulle condizioni del proprio sistema scolastico che appare come un aspetto del più generale silenzio del Mezzogiorno. Un Mezzogiorno che ormai da anni ha cessato di parlare di se stesso e dei suoi mali, che da anni ha messo volontariamente in soffitta la «questione meridionale», che sembra ormai rassegnato a fingere una normalità da cui invece è sempre più lontano. E così la spazzatura copre Napoli, la scuola del Sud è quella che abbiamo visto, intere regioni sono sotto il dominio della delinquenza, in molti centri l'acqua ancor oggi viene erogata poche ore al giorno, i servizi pubblici (a cominciare dai treni) sono in condizioni pietose, il sistema sanitario è quasi sempre allo stremo e di pessima qualità, ma il Sud resta muto, non ha più una voce che dica di lui. Unica e isolata risuona la nota dissonante di un pugno di scrittori e di saggisti coraggiosi come Mario Desiati, Marco Demarco, Gaetano Cappelli, Adolfo Scotto di Luzio di cui sta per uscire il bellissimo «Napoli dai molti tradimenti». Sì, l'opinione pubblica meridionale, specie quella del Mezzogiorno continentale, nel suo complesso latita, è assente. Mai che essa metta sotto esame, e poi se del caso sotto accusa, i suoi gruppi dirigenti locali di destra o di sinistra che siano; mai che crei movimenti, associazioni, giornali, che agitino i temi della propria condizione negativa; mai che da essa vengano analisi sincere, e magari (perché no?) autocritiche, dello stato delle cose e dei motivi perché esse stanno al modo come stanno.
Soprattutto sorprendente e significativo (eppure si trattava della scuola, dell'istruzione, santo iddio!) è apparso nei giorni scorsi il silenzio — o, peggio, l'adesione alla protesta perbenistico-sciovinista — da parte di tanti intellettuali. E' stata la conferma di un dato da tempo sotto gli occhi di tutti: che proprio la cultura meridionale, ormai, non si sente più tenuta a rappresentare quella coscienza polemicamente e analiticamente esploratrice della propria società, a svolgere quella funzione critica, che pure dall'Unità in avanti avevano costituito un tratto decisivo della sua identità. In questo silenzio e con questo silenzio degli intellettuali la «questione meridionale» mette davvero fine alla sua storia. Abituati a essere portatori di istanze di critica e di cambiamento, abituati cioè a svolgere un ruolo socio-culturale oggettivamente di opposizione, e dunque, almeno in questo dopoguerra, orientati tradizionalmente a sinistra, gli intellettuali meridionali si direbbe che siano rimasti vittime della rivoluzione politica verificatasi nel Mezzogiorno negli ultimi vent'anni. La vittoria della sinistra in tanti comuni e in tante regioni, infatti, se per alcuni di essi ha voluto dire l'arruolamento in questo o quell'organismo pubblico, e dunque l'assorbimento puro e semplice nel potere, per molti di più, per la stragrande maggioranza, ha significato essere privati di una potenzialità alternativa essenziale, di una sponda decisiva per il proprio ragionare e il proprio dire d'opposizione.
Dopo la vittoria della sinistra essere «contro» ha rischiato di significare qualcosa di ben diverso che per il passato: ed è stato un rischio che quasi nessuno si è sentito di correre.
Peccato però che evitare i rischi non significa in alcun modo esorcizzare i pericoli: a cominciare, in questo caso, dal pericolo di un declino inarrestabile di cui sono testimonianza proprio le brillantissime pagelle degli studenti del Mezzogiorno.
(14 settembre 2008)


Caro Duccio
ti confesso che a leggere e rileggere faccio fatica a comprendere il punto. Pagelle dopate? Università traformate in esamifici? Intellettuali latitanti? La questione, con tutto il rispetto per Della Loggia, che cita qua e là Berlinguer e la Gelmini, mi sembra posta in maniera speculativa e riduttiva.

La mia opinione - modestissima e da autoctona – è che il sistema scolastico meridionale che presta così poca attenzione all'istruzione ed all'innovazione tecnologica, salvo poi compensare sopravvalutando le performance dei suoi allievi, non è che la punta dell'iceberg di una dolorosa questione ascrivibile alla storica mancanza di una cultura della collettività che ha fatto capolino in maniera sporadica e quasi mai indipendente, soppiantata da un'altra cultura che premia comportamenti fortemente individualisti e che il degenerare del sistema di valori ha trasformato in un arido culto della superficie.
Porto la mia esperienza che seppure anacronistica credo possa essere condivisa da molti miei coetanei meridionali. Ho studiato in un piccolo villaggio che raccoglie l'utenza scolastica di 15 località della provincia di Salerno: significa poche sezioni, docenti prevalentemente locali e scarso dinamismo intellettuale. Le scuole di città – Salerno è a poco meno o poco più di 1 aura di autobus a seconda del comune costiero di riferimento – erano viste con quel misto di distacco e abnegazione, tipico delle mentalità provinciali.
Non avevamo i computer – ma credo che negli anni 90 fossero poche le scuole a poterselo permettere – indossavamo il grembiule nero, tremavamo quando il professore scorreva il registro per la quotidiana ronda. Non occupavamo o tentavano occupazioni destinate ad esaurirsi nel giro di una settimana perchè non capivamo il perché dell'occupazione dei nostri colleghi urbani. Non autogestivamo corsi di cinema e teatro. Attività extrascolastiche che potevamo esercitare il diritto di coltivare solo a patto che alla quotidiana ronda di interrogazioni non saltasse fuori che avevamo trascurato il ditirambo giambico.
Tutto quello che ho appreso dal sistema scolastico di cui sono un prodotto standard può essere riassunto nella consapevolezza di essere indietro anni luce e di dovermi dare una mossa e non come collettività, ma come l'uomo delle caverne doveva escogitare qualcosa di funzionale per procacciarsi la sua bella bistecchina.
Dopo la maturità la cantilena era: "Frequenta un piccolo ateneo del centro nord – ai miei tempi eranomolto di moda Urbino e Camerino, frequentate dai figli dei potestà della costiera – perché, dicevano "lì non sarai un numero, sarà più facile emergere". Ma come me, molti sono confluiti in uno degli atenei del capoluogo regionale, dove 4 lettere dell'alfabeto stipavano in un cinema 400 matricole del primo corso obbligatorio, gli esami orali prevedevano calendari anche di 2 settimane e , a volte, solo quando ti andavi a sedere davanti al professore per sostenere l'orale, riuscivi finalmente a guardarlo in faccia. I collegi di rappresentanza studentesca, a destra e a sinistra cattolici compresi, erano club di lusso per quelli che chiamavamo "chiattilli", alias i fighetti della situazione.
Alla faccia della formazione e dell'istruzione. Alla faccia dell'innovazione tecnologica. Alla faccia del dissertiamo della questione meridionale. Il messaggio neanche troppo subliminale era "Il sistema ti offre un'opportunità – sta a te saperla cogliere." Sembravano covate di conigli, tutti intenti a lottare per la sopravvivenza intellettuale. Molti di quelli che conosco sono dovuti emigrare, non tanto per inseguire la migliore opportunità o l'opportunismo migliorativo della propria condizione, quanto per smettere paradossalmente di affannarsi per ottenere il minimo, per ottimizzare l'investimento e la resa.
La questione non è "Ma guarda! Al contrario delle statistiche, il sistema scolastico meridionale fa acqua da tutte le parti! E' scandaloso che gli intellettuali meridionali non reagiscano!!!!" E' un'affermazione speculativa, mi permetto dire, perché è la meno di quello che un cittadino meridionale si deve sciroppare se vuole continuare a vivere nella sua città. Dove l'intero sistema sociale – tranne rare isole felici che non so a quanto siano accessibili - non ha rispetto dell'infanzia, della persona, della vita. Non include nella sua teoria l'approccio al futuro. E' un leviatano mosso per volontà di gruppi di interesse, a loro volta regolati da comportamenti clientelari, destinato ad implodere non senza sparare metastasii. Anche nel finto-puritano Settentrione dove l'etica del lavoro e la cultura collettiva del servizio è tradizione storica.
Il sistema scolastico ed universitario meridionale che ho sperimentato riflette una cultura ed una società che non ha fiducia, che si è esaurita, che non contempla nel suo vocabolario la parola "futuro". Buona parte dei professori che ho avuto dedicavano tempo a spronarci, ad affamarci, invitandoci a trovare il nostro modo di interpretare testi e contesti, per non essere annientati, ci dicevano, da aule universitarie affollate di diplomati di città, di ogni dove, più istruiti, più stimolati, più nutriti intellettualmente.

E noi bevevamo. Ogni singola parola che ci veniva detta, consapevoli poiché macchiati geneticamente dal gene del fatalismo, che a voler imparare la parola "futuro" l'unica associazione possibile spesso rimandava al verbo "partire". Della mia classe del liceo, gli unici ad essere rimasti proseguendo i loro studi, sono quelli che avevano una posizione garantita dal sistema dei gruppi di interesse. Tre persone. Tre persone su venticinque.
Con questo non intendo fare l'agiografia del sistema, attenzione: ne conosco parecchi di dottori e dottoresse che stentano a parlare l'Italiano, sono privi di qualsiasi passione intellettuale o peggio, vantano conoscenze approssimative e nozionistiche "made in Google". Ma ne conosco di meridionali come di settentrionali.
Come conosco in tutto lo stivale coetanei che per forza o per scelta non hanno il titolo di dottore ma hanno molto da insegnare a me e, senza presunzione, ad altri come me che l'università hanno avuto l'opportunità di poterla frequentare.

Il problema non è ascrivibile al sistema scuola. La complessa questione culturale e sociale che attraversa lo stivale e trova in molti settori del meridione una esemplare cassa di risonanza è la sfiducia e il nichilismo che infetta i giovani e che al Sud non trova diversivi o compensazioni perché i poteri forti hanno tutto l'interesse a perdurare lo status quo, eliminando la possibilità di confronto e dibattito tra i cittadini ridotti ad una specie di stato di trance da un continuo stato di emergenza.

8 ago 2008

Buon viaggio

Per assonanza con le partenze ed i ritorni, il mare e la musica di certezze crollate e fortissime vulnerabilità che muovono i nuovi passi.

"Era de Maggio"

Era de maggio e te cadeano nzino
a schiocche a schiocche li ccerase rosse,
fresca era ll'aria e tutto lu ciardino
addurava de rose a ciente passe.

Era de maggio; io, no, nun me ne scordo,
na canzona cantàvemo a doie voce;
cchiù tiempo passa e cchiù me n'allicordo,
fresca era l'aria e la canzona doce.
E diceva: «Core, core!
core mio, luntano vaie;
tu me lasse e io conto ll'ore,
chi sa quanno turnarraie!»

Rispunneva io: «Turnarraggio
quanno tornano li rrose,
si stu sciore torna a maggio,
pure a maggio io stonco ccà».

E sò turnato, e mo, comm' a na vota,
cantammo nzieme lu mutivo antico;
passa lu tiempo e lu munno s'avota,
ma l'ammore vero, no, nun vota vico.

De te, bellezza mia, m'annammuraie,
si t'allicurde, nnanz' a la funtana:
ll'acqua llà dinto nun se secca maie,
e ferita d'ammore nun se sana.

Nun se sana: ca sanata
si fosse, gioia mia,
mmiezzo a st'aria mbarzamata
a guardarte io nù starria!

E te dico: «Core, core!
core mio, turnato io sò,
torna a maggio e torna ammore,
fa de me chello che buò!».

Salvatore Di Giacomo,1885

7 ago 2008

Per un(') anonimo(a)

"La vita del mare segna false rotte,
ingannevole in mare ogni tracciato,
solo leggende perse nella notte
perenne di chi un giorno mi ha cantato
donandomi però un’eterna vita
racchiusa in versi, in ritmi, in una rima,
dandomi ancora la gioia infinita
di entrare in porti sconosciuti prima."

Francesco Guccini

1 ago 2008

Itaca

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni o i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere:
non sara’ questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.

In Ciclopi o Lestrigoni no certo,
ne’ nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga,
che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti – finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre,
tutta merce fina, e anche profumi
penetranti d’ogni sorta, piu’ profumi
inebrianti che puoi,
va in molte citta’ egizie
impara una quantita’ di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca –
Raggiungerla sia il tuo pensiero costante.
Soprattutto, pero’, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.

Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos’altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avra’ deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
gia’ tu avrai capito cio’ che Itaca vuole significare.

(1911 - Konstantinos Kavafis)